9.14.2007

Quei lunghi silenzi sull’agonia di Wojtyla

Lina Pavanelli
La Repubblica, 14 settembre 2007


Non è passato neanche un anno dalla morte di Piergiorgio Welby, ma sembra molto lontana. Aspra è stata la polemica fra laici e rappresentanti autorevoli del potere cattolico sui diritti del malato, eutanasia e accanimento terapeutico. (...)

Il Santo Padre fu ricoverato d’urgenza al policlinico Gemelli l’1 febbraio 2005 per una «laringo-tracheite acuta con laringospasmo» che aveva provocato una drammatica crisi respiratoria. Rimase sotto controllo dieci giorni e poi fu dimesso. Due settimane più tardi il quadro clinico si ripresentò con maggiore gravità, per cui il paziente fu nuovamente ricoverato d’urgenza. Il giorno seguente il ricovero gli fu praticata una tracheostomia e gli fu inserita una cannula respiratoria.

Ci venne spiegato che la causa di queste crisi era una «stenosi funzionale della laringe». La degenza questa volta fu di circa venti giorni, e il paziente venne dimesso il 13 marzo. Nei giorni seguenti il Santo Padre fece due brevi apparizioni alla finestra del suo appartamento senza essere in grado di parlare. I125 marzo fu ripreso di schiena mentre seguiva dal suo studio la via crucis. Si affacciò per l’ultima volta alla finestra dell’appartamento pontificio il 30 marzo. Il giorno seguente avvenne il tracollo, apparentemente a causa di una cistite acuta, che provocò uno shock settico. Morì due giorni dopo.

La stenosi funzionale laringea che affliggeva il papa era una condizione non reversibile, perciò, se il problema delle vie respiratorie non fosse stato risolto, il paziente sarebbe andato incontro a crisi asfittiche sempre più frequenti e pericolose. La situazione del paziente era tal- mente rischiosa che il dottor Buzzonetti aveva, preventivamente, ritenuto indispensabile organizzare sotto la sua personale direzione una struttura complessa, in grado di poter assicurare il controllo permanente del suo assistito. Nel suo libro spiega di aver attivato «un’equipe vaticana multidisciplinare, composta da dieci medici rianimatori, da specialisti di cardiologia, di otorinolaringoiatria, di medicina interna, di radiologia e di patologia clinica, coadiuvati da quattro infermieri professionali».

Grazie alla pronta assistenza assicurata da questa organizzazione, il Santo Padre non morì durante la crisi che lo condusse al secondo ricovero. Il pericolo corso però era stato tale che, in questa seconda occasione, fu eseguito subito l’unico atto terapeutico risolutivo della situazione patologica: il confezionamento di una via respiratoria alternativa (tracheostomia) che, vista la patologia soggiacente, non poteva che essere definitiva.

Dal primo ricovero fino all’ultima crisi, tutte le comunicazioni trasmesse dal portavoce del Vaticano erano focalizzate sull’aspetto respiratorio e fonatorio (...).

L’immagine che però mi restava in mente era anche una crudele, fredda, esposizione di dati evidenti. Il paziente era morto per ragioni che chiaramente non erano state menzionate. (...)

Il papa stava morendo per un’altra conseguenza del coinvolgimento dei muscoli faringo-laringei provocata dal morbo di Parkinson, una conseguenza più lenta a manifestarsi ma che, se non trattata, è ugualmente pericolosa: l’incapacità di deglutire.

Non potendo deglutire, il paziente non era in grado di alimentarsi. Sul pontefice, nell’ultimo mese di vitale conseguenze di questa menomazione erano clamorosamente visibili. (...)

Non avrebbe potuto essere altrimenti: l’apporto nutrizionale era irrisorio, e probabilmente anche l’assunzione dei liquidi era insufficiente. (...) La sua struttura muscolare debilitata dalla denutrizione, oltre che dal morbo di Parkinson, era ormai talmente debole da rendergli faticosa la respirazione anche attraverso la cannula ma soprattutto - questa è la cosa più grave - il sistema immunitario, compromesso dalla denutrizione, era ormai così depresso da non assicurargli più alcuna difesa, per cui una banale infezione è potuta diventare mortale in poche ore.

Nel pomeriggio dello stesso giorno la gravità estrema della situazione convinse finalmente i clinici ad inserire quel sondino che avrebbe dovuto essere stato già collocato da settimane. Troppo tardi.

hiarisco subito che non ho critiche da muovere nei confronti dei medici del papa, anzi, li capisco. (...) Hanno lasciato che il Santo Padre deperisse giorno per giorno, come testimoniano le immagini di quel periodo, nonostante si rendessero conto che in quelle condizioni non avrebbe potuto sopravvivere a lungo.

L’ultimo giorno prima del «crollo» finale il sondino nutrizionale venne applicato. E stato un atto troppo tardivo per essere di utilità al paziente, ma rivela il dramma e il conflitto vissuto dai medici. (...)

È il caso di domandarsi il perché tanta avarizia di notizie, insieme al silenzio da parte di tutti gli organi d’informazione vaticani sulla patologia che portò il papa alla morte. Impossibile dare una risposta, ma è certo che, in questo caso, la «riservatezza» ha aiutato a coprire un’evidente contraddizione tra l’esperienza umana di Karol Wojtyla - in qualità di paziente - e le dottrine del «bene oggettivo», da lui pubblicate, che sono la questione capitale delle crociate politiche degli organi istituzionali della Chiesa.
-->