1.15.2005

Hitler: rapite Pio XII

IL CASO
Nella testimonianza dell'ex generale delle Ss Wolff i dettagli del piano con cui il Terzo Reich intendeva ridurre al silenzio il Papa

Hitler: rapite Pio XII

Tra i capi d’accusa contro il Pontefice il suo atteggiamento «amichevole» verso gli ebrei. Dopo il blitz, il prigioniero sarebbe stato recluso in un castello tedesco L’«Operazione Rabat» era prevista per la primavera del 1943. Ma il vero obiettivo consisteva nella cancellazione del cristianesimo Al suo posto sarebbe stata imposta la nuova «religione universale» nazista

Da Roma Salvatore Mazza

«Ricevetti da Hitler in persona l'ordine di rapire Papa Pio XII...». Così afferma Karl Friedrich Otto Wolff, Obergruppenführer di Stato Maggiore delle SS e generale delle Waffen SS, già capo della segreteria personale di Heirich Himmler e poi Hoechster SS und Polizei-Führer (ovvero capo supremo delle SS) in Italia, nella memoria scritta depositata il 24 marzo del 1972, sugli eventi che rischiarono di modificare il quadro degli ultimi anni di guerra. È una memoria che conferma la forse più delirante idea hitleriana: rapire Pio XII e "cancellare" il Vaticano. Se non il cristianesimo.
Solo un delirio? Tutt'altro. Un progetto meditato per anni, e messo a punto nei dettagli. Del quale la testimonianza di Wolff offre il tassello mancante, utile a definire un capitolo finora mai veramente chiarito della seconda guerra mondiale, che rivela una volta di più quanto profondo fosse l'odio di Hitler verso un Papa Pacelli considerato «antinazionalsocialista» e «amico degli ebrei». La testimonianza di Wolff, che si trova oggi tra le carte della Causa di beatificazione, fu raccolta a Monaco di Baviera, dove si svolse uno dei sette processi rogatoriali per la Causa di Pacelli (gli altri, accanto al processo principale di Roma, hanno ascoltato testimoni a Genova, Varsavia, Lisbona, Montevideo, Berlino e Madrid). Quando già da vari anni sulla figura di Pio XII, a dispetto della storia e dei riconoscimenti arrivatigli da ogni parte per l'azione a favore degli ebrei, si era proiettata l'ombra diffamatrice di Il Vicario, di Rolf Hochhuth (del 1963).
Wolff aveva già deposto al processo di Norimberga contro i criminali di guerra nazisti su diversi aspetti del conflitto in Italia. Accennando anche al fatto che Hitler nella primavera del 1943 gli aveva ordinato di procedere con il sequestro di Papa Pacelli, ma che in quell'occasione era riuscito a distogliere il Führer dalle sue intenzioni. Stranamente però, come lamentava nel 1972 lo storico gesuita Robert Graham, a Norimberga proprio la questione del progettato sequestro del Papa non fu approfondita. Cosa che invece Wolff fece nel '72 a Monaco, rivelando - a quanto risulta - che dopo l'8 settembre l'insistenza di Hitler per eseguire il piano andò facendosi ogni giorno più parossistica.
Ai primi di maggio del 1944 Wolff, nel quartier generale di Hitler, ricevette probabilmente una sorta di ultimatum. Gli eventi, in Italia, sono precipitati, e Hitler non tollererà altri rinvii né pretesti. Rientrato a Roma, tuttavia, il comandante delle SS chiese - forse attraverso l'ambasciatore Weizsäcker, che era al corrente del progetto - di poter incontrare il Pontefice «per riferire di questioni gravi e urgentissime riguardanti la sua persona», come aveva fatto comunicare al Papa. L'udienza avvenne la sera del 10 maggio, a meno di un mese dalla fuga da Roma dei tedeschi nella notte tra il 4 e il 5 giugno successivi. Il generale, in borghese, fu accompagnato in Vaticano dal Superiore dei Salvatoriani padre Pancrazio Pfeiffer (che per tutta la guerra fu la longa manus di Pacelli nella sua opera di aiuto agli ebrei). Al cospetto di Pio XII Wolff riferì circa le intenzioni di Hitler, esortando il Pontefice a stare in guardia perché, se lui non avrebbe in nessun caso eseguito l'ordine, la situazione era comunque confusa e irta di rischi. Il Papa chiese allora a Wolff, come dimostrazione della sua sincerità, la liberazione di due condannati a morte, cosa che il generale fece il 3 giugno (uno dei due era Giuliano Vassalli).
Secondo la ricostruzione di Graham (che non era al corrente della testimonianza di Wolff a Monaco di Baviera) per rapire Pio XII si sarebbero mobilitate le SS, mentre a "mettere al sicuro" gli archivi vaticani ci avrebbero pensato i Kunsberg-Kommando, organizzazione delle stesse SS specializzata nella catalogazione di documenti. Il Papa «sarebbe stato portato al Nord e installato nel Castello di Lichtestein, nel Württemberg» (località che le "voci" del tempo avrebbero storpiato, confondendo il Castello col Principato del Liechtenstein).
Nel romanzo semi-autobiografico Monte Cassino lo scrittore danese Sven Hassel - ex combattente del 27° battaglione di disciplina della Wehrmacht, l'esercito tedesco - racconta che l'operazione "Rabat" (questo secondo Hassel il nome in codice) sarebbe stata condotta da un battaglione di SS, che avrebbero "salvato" il Pontefice da un attacco lanciato contro il Vaticano «da una banda di partigiani guidata da ebrei e comunisti», in realtà effettivi di un battaglione di disciplina tedesco. Sempre secondo Hassel la notizia di "Rabat" aveva suscitato un tale turbamento nell'esercito che la Wehrmacht avrebbe avuto pronto un contro-piano per difendere il Papa.
Hassel, dal punto di vista storico, è oggetto di controverse considerazioni. Ma è comunque da rilevare come Monte Cassino sia stato scritto nel 1968, prima cioè che il pur scarso materiale storico sulla vicenda fosse disponibile. E la coincidenza di molti particolari della narrazione con quanto emerso poi è per lo meno singolare, forse abbastanza da far ritenere plausibili almeno i dettagli relativi allo svolgimento dell'azione. Confermano, inoltre e comunque, come nonostante le smentite ufficiali - dirette o indirette - la "voce" circa il possibile sequestro del Papa era ben viva, e di giorno in giorno più forte ovunque. Tanto che l'ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede Ildebrando Accioly, ricorda Graham, «aveva realmente preso l'iniziativa presso i diplomatici alleati residenti in Vaticano per un loro impegno a seguire il Papa in esilio, se mai si fosse arrivati a quel punto».
Del resto, ancora nella ricostruzione di Graham, le prime tracce documentate di timori circa un'intenzione nazista di intervenire contro il papato risalivano già al 1941. Infatti, il 6 maggio di quell'anno il segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari monsignor Domenico Tardini annotava quanto era stato riferito al Papa il 25 aprile, pochi giorni dopo l'incontro a Vienna tra i ministri degli Esteri di Germania e Italia, Joachim von Ribbentrop e Galeazzo Ciano. Secondo le informazioni ricevute, il Reich «aveva chiesto all'Italia di fare in modo che (il Papa) lasciasse Roma "perché nella nuova Europa non dovrebbe esservi posto per il papato"». E il cardinale Egidio Vagnozzi raccontò che «fin dal 1941 alcuni importanti documenti... che si riferivano ai rapporti tra il Vaticano e il Terzo Reich… erano stati microfilmati e inviati al delegato apostolico a Washington, monsignor Amleto Cicognani», e che «Pio XII aveva fatto nascondere le sue carte personali in doppi pavimenti vicino ai suoi appartamenti privati... (e) altri documenti della Segreteria di Stato vennero nascosti in angoli nascosti degli archivi storici». Perché «ovviamente si temeva il peggio».
Il Vaticano, insomma, la minaccia l'aveva sempre presa in seria considerazione. Del resto l'odio di Hitler verso Eugenio Pacelli, il raffinato diplomatico che mai aveva celato la propria avversione al nazismo fin dal suo nascere, era tristemente nota. Di certo contro il Pontefice, fin dalla sua elezione, si scatenò tutta la formidabile macchina della propaganda nazista: «L'elezione del cardinale Pacelli non è accettata con favore dalla Germania perché egli si è sempre opposto al nazismo», scriveva il Berliner Morgenpost, organo del movimento nazista, il 3 marzo 1939. E da allora gli articoli sprezzanti, le vignettacce, le caricature, lo bersagliarono quasi quotidianamente.
Ma c'era qualcosa di ancor più radicato, di malato. Che forse spiega ancor meglio la rabbiosa volontà di Hitler di rapire il Papa e «far sloggiare tutta quella masnada di p...» dal Vaticano, come, secondo Galeazzo Ciano, il capo del Terzo Reich ripeteva "apertamente". Nel 1941 le armate germaniche dilagavano in Europa. Il nazismo sembrava inarrestabile e la gloria del Reich a un passo. E nel mese di settembre, in una lettera al delegato apostolico a Washington monsignor Amleto Cicognani, Tardini riferiva che qualche mese prima, assistendo alla funzioni della Settimana Santa nella Cappella Sistina, un funzionario tedesco gli aveva detto: «Le cerimonie sono state interessanti. Ma è l'ultima volta. L'anno venturo non si celebreranno più». Nel gennaio successivo il cardinale Maglione lamentò un'analoga minaccia da parte del principe Otto von Bismark, ministro plenipotenziario dell'ambasciata tedesca.
Che cosa c'era dietro? Si è sempre detto che il nazismo tendeva a presentarsi come una nuova religione. Ma è interessante, in proposito, rilevare quanto raccontato nelle sue memorie, raccolte da Joseph Kessel, dal finlandese Felix Kersten, il massaggiatore "dalle mani miracolose" che per tutta la guerra fu l'ombra di Heinrich Himmler: «Nel maggio del 1940... per sfuggire a quel panorama di distruzione, Kersten cercava rifugio nella... biblioteca da campo di Himmler. Fece così una scoperta sorprendente: tutti i volumi che conteneva erano opere di religione: i Veda, l'Antico Testamento, i Vangeli, il Corano... "Ma non mi ha detto che un nazista non deve avere alcuna religione?", domandò un giorno a Himmler. "Certo", rispose quest'ultimo. "E allora?", domandò Kersten indicando i volumi...». E questa, riferita da Kersten, è la risposta data da un «sorridente» e «ispirato» Himmler: «"No, non mi sono convertito. Questi volumi sono necessari al mio lavoro. Hitler mi ha affidato l'incarico di preparare il vangelo della nuova religione nazista... Dopo la vittoria del Terzo Reich il Führer abolirà il cristianesimo e fonderà sulle sue rovine la religione germanica. Conserveremo l'idea di Dio, ma sarà un'idea vaga... Il Führer si sostituirà al Cristo come salvatore dell'umanità. Così, milioni e milioni di persone pronunzieranno soltanto il nome di Hitler nelle loro preghiere, e di qui a cent'anni non si conoscerà altro che la nuova religione... Capirà che per questo nuovo Vangelo mi occorre una documentazione"».


1.14.2005

Non, Pie XII n'était pas un saint, par Daniel Jonah Goldhagen

LE MONDE | 14.01.05 | 15h08

Imaginez un homme qui, en prenant des risques, sauve un bébé d'une voiture en feu dans une zone rurale. Les parents sont morts. L'homme serait considéré comme un héros.
Il décide alors de garder l'enfant et de l'élever selon ses principes religieux. L'homme n'informe pas les autorités. Lorsque la famille de l'enfant, désespérée, part à sa recherche et vient à frapper à la porte de l'homme, il dit qu'il ne sait pas où se trouve le bébé. La bonne action de l'homme est devenue un crime. C'est un kidnappeur.
Un document provenant des archives de l'Eglise catholique française vient d'être publié. Il révèle que le pape Pie XII s'est conduit comme cet homme lorsque des familles et des parents juifs sont venus frapper frénétiquement à sa porte pour réclamer leurs enfants.
En octobre 1946, une lettre contenant les instructions du pape a été envoyée au nonce apostolique en France, le cardinal Angelo Roncalli, futur pape Jean XXIII, connu pour sa compassion envers les juifs et qui travaillait à réunir les enfants juifs cachés dans les institutions catholiques pendant l'Holocauste et leurs parents, leurs familles et les institutions juives. Cette lettre ordonnait à Roncalli de cesser son activité et de retenir les enfants juifs : "Les enfants qui ont été baptisés ne pourraient être confiés aux institutions qui ne seraient pas à même d'assurer leur éducation chrétienne", disait-elle.
L'intention de Pie XII de déposséder les parents juifs de leurs enfants était sans équivoque : "Si les enfants ont été confiés [à l'église], et si les parents les réclament maintenant, pourvu que les enfants n'aient pas reçu le baptême, ils pourront leur être rendus." "Il est à noter, précisait cette missive, que cette décision de la sainte congrégation du Saint-Office a été approuvée par le Saint-Père."
Ne pas rendre les enfants juifs baptisés était présenté comme un principe et une politique générale de l'Eglise - décidée par la Congrégation du Saint-Office, qui faisait autorité dans l'Eglise, et personnellement approuvée par le pape Pie XII. Il va sans dire que cette politique de kidnapping était transmise et destinée à être appliquée dans toute l'Europe. On ne sait pas encore dans quelle mesure Roncalli et d'autres représentants de l'Eglise ont véritablement appliqué les directives du Vatican. Les documents en rapport avec la politique de l'Eglise (y compris ceux relatifs à cette lettre) demeurent enfermés dans les archives du Vatican et dans les archives des églises des pays.
Durant l'Holocauste, des milliers d'enfants juifs anonymes ont trouvé refuge dans des monastères, des couvents et des écoles catholiques, mais pas sur ordre de ce pape antisémite. Ils ont été sauvés par des héros, des prêtres et des religieuses se trouvant sur place (auxquels Yad Vashem et d'autres ont rendu hommage, à juste titre).
Ils ont également baptisé un nombre inconnu d'enfants dont ils s'occupaient. On sait que, dans de nombreux cas, mais pas tous, les rescapés juifs, leurs familles ou leurs héritiers ont eu beaucoup de difficultés à récupérer leurs enfants. On soupçonnait que l'Eglise avait comme politique de voler ces enfants juifs pour Jésus. Selon Pie XII, une rescapée d'Auschwitz, persécutée parce qu'elle était juive, n'était pas censée récupérer son propre enfant parce qu'elle était juive.
On a maintenant une preuve : ce document qui fait froid dans le dos. Il révèle que la politique du pape et de l'Eglise a consisté, en fait, à kidnapper les enfants juifs, peut-être par milliers. Il expose l'insensibilité frappante de Pie XII aux souffrances des juifs. Son but évident était de mettre en œuvre un plan qui ferait d'eux des victimes une seconde fois, en privant de leurs propres enfants ces rescapés de l'enfer nazi, blessés dans leur chair et leur esprit.
Le document ne surprendra pas ceux qui connaissent l'antisémitisme de l'Eglise catholique pendant cette période. Le pape Pie XII, en ordonnant un acte criminel - que des enfants soient séparés de façon illégale et permanente de leurs parents, de leur famille ou de leurs protecteurs légaux ou spirituels -, s'est transformé en criminel. Il en a été de même pour tous les évêques, les prêtres et les religieuses qui ont pu promouvoir le kidnapping d'enfants juifs ou y participer. Personne n'est au-dessus de la loi. Un dirigeant religieux ou un chef de gouvernement qui manigancerait aujourd'hui une conspiration criminelle de ce genre serait mis en prison.
Beaucoup de crimes, de nos jours et dans le passé, ont été commis au nom de la religion. Pie XII et l'Eglise ont dissimulé au monde cette politique religieuse consistant à refuser aux parents juifs leurs enfants, précisément parce qu'ils savaient qu'elle serait considérée comme scandaleuse et criminelle. L'habit religieux ne devrait pas dissimuler la personne et ses actes et empêcher qu'ils soient appelés par leur nom. Les scandales récents sur les abus sexuels des prêtres [aux Etats-Unis] nous l'ont appris. Ils nous ont aussi appris que la transparence est nécessaire à cette Eglise qui garde ses secrets et qui a, habituellement, dissimulé les crimes et les méfaits de ses représentants.

Si l'Eglise est l'institution morale qu'elle prétend être, elle doit prendre des mesures pour réparer ses crimes. Le Vatican devrait créer et financer une commission internationale spéciale et complètement indépendante, formée d'experts historiques, ecclésiastiques et médico-légaux extérieurs et dirigée par une personnalité de renommée internationale, pour déterminer combien d'enfants juifs l'Eglise a kidnappés en Europe et le rôle précis joué par Pie XII et d'autres cardinaux et évêques.
La commission devrait avoir accès à toutes les institutions, tout le personnel et tous les documents de l'Eglise. Le pape Jean Paul II, qui, de manière critique, a beaucoup travaillé à améliorer le comportement de l'Eglise à l'égard des juifs, devrait ordonner publiquement à toutes les Eglises catholiques européennes de coopérer pleinement avec les enquêteurs et d'exhumer de leur côté ce qui s'est passé dans leurs paroisses.
Les archives sont sans doute facilement accessibles pour la plupart. L'Eglise est une institution qui enregistre et conserve fidèlement une chose plus que toute autre : les baptêmes. Par cette identification, toutes les victimes juives ou leurs survivants devraient être localisés par l'Eglise et avertis. La commission devrait aussi publier des rapports historiques détaillés sur ses découvertes.
Si la Suisse a pu faire la lumière, avec la commission Bergier, sur la confiscation des biens juifs pendant la guerre (publiée en 26 volumes) et si l'Australie s'y emploie pour les enfants que son gouvernement a volés aux Aborigènes pendant la même période, alors l'Eglise catholique peut faire de même en ce qui concerne la politique de vol des enfants juifs de Pie XII. Le Vatican devrait enfin cesser sa politique d'esquive et de dissimulation, vieille de plusieurs dizaines d'années, et ouvrir complètement ses archives datant de l'Holocauste et celles des églises dans les pays aux chercheurs et aux journalistes.
Elle devrait cesser de prétendre que sa seule transgression a été de ne pas faire davantage pour sauver les juifs et que son unique acte de pénitence ne doit consister qu'en de pâles excuses pour ses actes d'omission. La lettre à Roncalli qui a filtré n'est certainement pas la seule pièce à conviction dans les énormes archives secrètes de l'Eglise. En outre, n'est-il pas aujourd'hui incontestable que celle-ci doit empêcher ses suppôts de calomnier les juifs et les autres qui l'ont à juste titre appelée à l'ouverture et à la vérité en ce qui concerne son passé et ses crimes récents, ainsi que ceux de ses représentants ?
Enfin, il devrait aujourd'hui être évident que l'Eglise doit cesser ses efforts de canonisation de Pie XII. Il a été à la tête d'une Eglise qui, pendant la guerre, a poursuivi et a même intensifié les pratiques d'agitation antisémite vieilles de plusieurs siècles, en sachant parfaitement que les juifs étaient persécutés et massacrés ; une Eglise qui a applaudi aux lois anti-juives servant de base à la persécution des juifs ; qui s'est servie de ses archives généalogiques pour aider le régime nazi à déterminer qui persécuter en tant que juif ; qui a légitimé et a participé à la déportation de plus de 50 000 juifs de Slovaquie, qui ont trouvé la mort à Auschwitz et ailleurs ; et qui a continué officiellement pendant plus de dix ans après l'Holocauste à enseigner à ses fidèles que tous les juifs de tous les temps étaient coupables d'avoir tué le Christ.
Par ce document de l'Eglise catholique, qui fait autorité et provient de ses propres archives, nous savons que Pie XII, en ordonnant à ses subordonnés de dérober les enfants juifs à leurs parents et à leurs familles, s'est transformé au moins en l'un des plus grands kidnappeurs des temps modernes - et ceci sans dire qu'il était également dépourvu de toute compassion humaine fondamentale pour les parents juifs brisés à la recherche de leurs enfants après des années de souffrance.
Le titre du célèbre livre de Primo Levi, étude et commentaire sur la nature de l'humanité, est Si c'est un homme. Comment ne pas se demander : Si c'est un saint, de quelle sorte d'Eglise s'agit-il ?

© 2005 Daniel Goldhagen


Daniel J. Goldhagen est chercheur en Sciences politiquesà l'université Harvard (Etats-Unis).
• ARTICLE PARU DANS L'EDITION DU 15.01.05

Jean-Marie Lustiger, archevêque de Paris, défend l'héritage juif de l'Europe

LE MONDE | 14.01.05 | 14h20

Pour la première fois, un haut représentant de l'Eglise catholique, le cardinal Jean-Marie Lustiger, a participé à l'assemblée générale du Congrès juif mondial (CJM), qui vient de se tenir à Bruxelles. Dimanche 9 janvier, il s'est adressé à plus de quatre cents représentants de communautés juives du monde entier (Ukraine, Russie, Argentine, Chili, Etats-Unis, etc.). Roger Cukierman, président du Conseil représentatif des institutions juives de France (CRIF), Serge Klarsfeld et le rabbin Michel Serfaty étaient présents.
Dans son discours, qui fera l'objet d'une publication intégrale par le CRIF, Mgr Lustiger a salué la présence permanente du judaïsme dans l'histoire de l'Europe : "Toujours en marge, mais jamais loin du centre, le plus souvent persécuté et menacé de destruction, mais jamais vraiment disparu".
"On peut dire sans exagération, a-t-il ajouté, que la conscience européenne a été profondément et intimement marquée par la présence des juifs." Citant Karl Marx et Sigmund Freud, l'archevêque de Paris fait observer que, "participant à l'édification de la culture occidentale, certains d'entre eux revendiquaient, d'autres contestaient leur identité et, parfois, les sources juives de leur pensée".
Pour le cardinal Lustiger - qui représentera le pape le 27 janvier pour la commémoration de la libération du camp d'Auschwitz, il y a soixante ans - l'extermination des juifs a été une perte irréparable pour les cultures nationales d'Europe : "Que l'on pense à la Pologne, la Roumanie, la Lituanie, l'Allemagne, l'Autriche et tant d'autres nations. Perte irréparable pour l'identité européenne que nous tentons de "rattraper" depuis un demi-siècle ! C'est aux Etats-Unis ou en Israël que les rescapés de ce naufrage européen ont été recueillis, apportant leur potentiel culturel et religieux à la civilisation de ces nouveaux mondes."
"Comment l'Europe pourrait-elle penser son avenir si elle méconnaissait la part de sa culture dont elle est redevable à la présence des juifs en son sein ?", s'est interrogé Mgr Lustiger devant le Congrès juif. Selon lui, l'idée de "repentance", voire de "réparation", gagne du terrain. Il rappelle l'engagement personnel, "tenace et vigoureux", du pape en vue de la "purification de la mémoire" de peuples hier en guerre dans des conflits inexpiables.
Il dénonce la résurgence de l'antisémitisme en Europe. "Certes, elle est liée, affirme-t-il, à des circonstances politiques précises où, dans certains pays, interviennent comme éléments provocateurs l'immigration d'origine musulmane et les conflits avec les pays arabes." Mais les manifestations antisémites, en France par exemple, n'ont, selon lui, ni les mêmes causes ni les mêmes effets qu'en Pologne, en Allemagne, en Russie ou dans les pays d'Europe centrale. Juifs et chrétiens européens sont invités à collaborer pour montrer "le caractère factice et destructeur de cet antisémitisme et lui enlever toute légitimité sociale".
L'archevêque de Paris se dit convaincu des fruits du dialogue entre juifs et catholiques ouvert au concile Vatican II (1962-1965). "Un travail positif, poursuivi en commun par des croyants, chrétiens et juifs, est possible aujourd'hui, observe-t-il. Il peut et doit se fonder sur les exigences de la Révélation que nous recevons de la Bible." Il doit porter sur "les enjeux moraux de notre civilisation, pays par pays, culture par culture, tenant compte des histoires particulières". Il "atteste" que l'Eglise catholique est prête à cette collaboration.
"La confiance et le respect nous donnent la chance unique, a-t-il conclu, de poursuivre un travail de réflexion et d'action pour une vision commune de l'homme, qui rende à l'Europe conscience des sources morales et spirituelles de sa civilisation (...). Je considère qu'il s'agit là d'un travail en profondeur, à l'abri des remous et des péripéties médiatiques que provoquent les manifestations antisémites dont le bruit vise à augmenter le crédit."
Quelques jours avant ce discours, on apprenait que Mgr Lustiger avait formé une équipe de dix prêtres parisiens pour entretenir des relations suivies avec une dizaine de représentants du rabbinat français.

Henri Tincq
• ARTICLE PARU DANS L'EDITION DU 15.01.05

COMUNICATO: SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DELLE VITTIME DEL MAREMOTO NEL SUD-EST ASIATICO AD UN MESE DAL TRAGICO EVENTO

Lunedì 24 gennaio, alle ore 17.00, nella Basilica Vaticana, Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, presiederà, a nome del Santo Padre, una solenne celebrazione eucaristica in suffragio delle vittime del maremoto del Sud-Est asiatico.
L'invito a prendere parte al rito di suffragio, esteso a tutti i fedeli, è rivolto in particolare ai sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli che provengono dai Paesi colpiti dal devastante cataclisma.

[00060-01.01] [Testo originale: Italiano]

1.12.2005

Les voyages du pape au 31 décembre 2004

* Lorette, 2004
* Lourdes (France), 2004
* Berne (Suisse), 2004
* Pompéi, 2003
* Slovaquie, 2003
* Croatie, 2003
* Espagne, 2003
* Pologne, 2002
* Toronto, Guatemala et Mexico, 2002 
* Azerbaïdjan et Bulgarie, 2002
* Ischia, 2002
* Kazakhstan, Arménie, 2001
* Ukraine, 2001
* Pèlerinage Jubilaire "sur les traces de Saint Paul Apôtre": Grèce, Syrie, Malte, 2001
* Fatima, 2000
* Pèlerinage Jubilaire en Terre Sainte, 2000
* Pèlerinage Jubilaire au Mont Sinaï, 2000
* Inde et Géorgie, 1999
* Slovénie, 1999
* Pologne, 1999
* Ancona, 1999
* Roumanie, 1999
* Mexique - St. Louis, 1999
* Croatie, 1998
* Autriche, 1998
* Vercelli et Turin, 1998
* Nigéria 1998
* Cuba 1998
* IIe Rencontre Mondiale avec les familles, Rio de Janeiro, 1997
* XXIIIe Congrès Eucharistique National Italien, Bologne, 1997
* Paris 1997 - XIIe Journée Mondiale de la Jeunesse
* Pologne, 1997
* Liban, 1997
* Sarajevo, 1997
* République Tchèque, 1997
* France, 1986
* Australia et Nuova Zelanda, 1986
* Portugal, 1982
* Assisi, 1982
* Brésil,1980
* Sienne, 1980
* République Fédérale d'Allemagne, 1980
* Potenza, 1980

Journée mondiale de la Jeunesse : Le voyage du pape à Cologne en août confirmé

CITE DU VATICAN, Mercredi 12 janvier 2005 (ZENIT.org) – Le voyage du pape Jean-Paul II en Allemagne, à Cologne, pour la Journée mondiale des jeunes du mois d’août prochain a été confirmé mercredi par son porte-parole.
Les manifestations centrales de la XXe JMJ se dérouleront du 16 au 21 août. Du 11 au 15 août, les jeunes sont invités dans toutes les paroisses d’Allemagne.
En réponse à une question de la presse, M. Joaquin Navarro Valls, directeur de la salle de presse du Saint-Siège, a indiqué que « cette année, aucun voyage du Saint-Père n'est envisagé en Pologne, pays où se dérouleront des élections ».
M. Navarro Valls a en revanche confirmé que le pape se rendra à Cologne pour la Journée mondiale de la Jeunesse.

« Aucun gouvernement n’est indifférent à la parole du pape et à ses prises de position »

Entretien avec J.M. Coulet, directeur de l’Osservatore Romano en langue française

CITE DU VATICAN, Mercredi 12 janvier 2005 (ZENIT.org) - Dans le discours qu’il a adressé lundi dernier aux membres du Corps diplomatique accrédités près le Saint-Siège Jean-Paul II a présenté les quatre principaux défis de l’humanité aujourd’hui : la vie, le pain, la paix et la liberté.
Pour mieux comprendre les caractéristiques et la portée de la diplomatie de Jean-Paul II, Zenit a rencontré Jean-Michel Coulet, directeur de l’Osservatore Romano en langue française, co-auteur avec entre autres les cardinaux Angelo Sodano, secrétaire d’Etat du Vatican, et Jean-Louis Tauran, ancien secrétaire pour les rapports avec les Etats du Vatican, de « La diplomatie de Jean-Paul II » ouvrage publié aux éditions du Cerf en l’an 2000 (cf. www.editionsducerf.fr).

Zenit : Les quatre défis soulevés par le pape dans son discours sont-ils des constantes de la diplomatie de Jean-Paul II ?

J. M. Coulet : En effet, les quatre défis soulevés par Jean-Paul II sont des constantes, l’on pourrait même dire les piliers de la diplomatie pontificale aujourd’hui et même de son magistère depuis son élection. On retrouve ces leitmotive dans les grandes encycliques qui ont jalonné le pontificat, Evangelium vitae, Sollicitudo rei socialis, Redemptor hominis… mais également dans tous ses discours au Vatican ou lors de ses voyages. Ces maîtres-mots sont à la base de toutes les actions des diplomates du Saint-Siège dans le monde.
Quant à la diplomatie pontificale elle fait confiance au droit international en constante évolution et participe à son élaboration (par exemple les nouveaux concepts de droit d’intervention humanitaire, ou de droit des minorités). Force est d’admettre que le pape se bat sur tous les fronts : la défense de la vie et le combat contre la faim, notamment au sein des organisations internationales mais aussi régionales, la paix et la liberté, dans les relations bilatérales avec les Etats… N’oublions pas que Jean-Paul II entretient des relations diplomatiques avec 178 Etats !
Il est convaincu qu’une application rigoureuse du droit permettrait d’éviter que les plus faibles soient victimes de la violence des plus forts. « La force de la loi, dit-il, doit prévaloir sur la loi de la force ».

Zenit : Dans son discours le pape dit que pour promouvoir la paix il est fréquemment intervenu personnellement et par l’intermédiaire de la diplomatie vaticane. Quels sont selon vous les plus grands succès remportés par le Saint-Siège dans ce domaine et peut-être aussi les échecs ?

J. M. Coulet : Incontestablement le plus grand « succès » remporté par Jean-Paul II est le fruit de son Ostpolitik ou de sa diplomatie à l’Est dans les années 80. La fin de la guerre froide avec la chute du mur de Berlin était un grand cheval de bataille de Jean-Paul II. Pour lui, le fondement des droits de l’homme résidait dans la reconnaissance par les Etats souverains d’une liberté qui est la liberté religieuse entendue comme la base de tous les droits.
L’on peut aussi citer le succès de la médiation papale pour résoudre le différend qui opposait l’Argentine au Chili au sujet de la zone australe.
Toutefois une guerre qui éclate malgré les appels répétés du pape est toujours perçue comme un échec ; mais ce dernier ne s’avoue jamais vaincu et répète inlassablement, à temps et à contre temps, comme il l’avait fait pour le conflit du golfe en 91 que « la guerre est une aventure sans retour », ou au Kosovo « qu’il n’est jamais trop tard pour négocier ». Jean-Paul II utilise tous les canaux diplomatiques, que se soit à travers les relations bilatérales, comme au sein des organisations internationales, telles que l’ONU ou ses institutions spécialisées. Il ne connaît pas de répit ! On se rappellera qu’à la veille du conflit en Irak, il avait joué les cartes de la dernière chance en envoyant deux émissaires auprès des deux parties…

Zenit : Avez-vous le sentiment que les appels du pape soient entendus des chefs de gouvernement à travers le monde ?

J. M. Coulet : Ses appels ne restent jamais lettre morte car ils interpellent non seulement les politiques, mais aussi la presse qui sert de relais auprès de l’opinion publique. En fin stratège, Jean-Paul II a toujours su se servir des moyens de communication pour faire passer des messages ou lancer des appels. Il sait que les gouvernements sont extrêmement attentifs à l’opinion publique qui est souvent spontanée. Il fait usage de la démocratie, qui selon l’enseignement social de l’Eglise, signifie participation des citoyens aux choix de société, possibilité de sanctionner les gouvernants, et solidarité.
Assurément aucun chef d’Etat ou de gouvernement n’est indifférent à la parole du pape et à ses prises de position. J’en veux pour preuve la multitude d’audiences que le pape accorde aux hommes politiques, de toutes tendances, qui viennent au Vatican, ou qu’il rencontre lors de ses voyages. Parmi les hommes politiques qui viennent le voir l’on note plusieurs catégories : ceux qui sont animés d’une vraie bonne volonté et qui viennent chercher conseil ; ceux-là sont beaucoup plus nombreux que l’on peut croire et ne professent pas toujours la religion catholique ; avec le temps ils sont presque devenus des « intimes » du pape, ce qui permet d’avoir des conversations franches en-dehors des barrières qu’impose la diplomatie. Il y a également ceux qui viennent au Vatican pour exposer la situation de leur pays et chercher un soutien de la part du pape et des catholiques. Et enfin, il y a ceux qui s’assurent une couverture médiatique qui selon eux aura des retombées positives dans leur pays… bien entendu personne n’est dupe ! Dans tous les cas de figures, le pape réserve toujours l’accueil qui se doit à la personne qui a émis le souhait de le rencontrer, sans restriction. Nous ne connaissons pas le degré de chaleur des conversations en privé, mais nous savons que Jean-Paul II n’a jamais mâché ses mots face à ses interlocuteurs !
Si la parole du pape ne trouve pas d’application immédiate, l’important est que celui-ci intervienne. Les voyages apostoliques servent également à cela. Rencontrer les populations est un aspect important du magistère, mais la parole du pape s’adresse aussi aux autorités politiques qui tirent toujours un enseignement des orientations proposées. On pense immédiatement aux voyages en Pologne au début du pontificat ou dans certains pays d’Afrique et du continent latino américain.

Zenit : Le pape a-t-il une conception des droits de l’homme différente de celle des sociétés en général ? Le premier défi cité dans son discours est celui de la vie, qui n’est pas toujours celui d’un gouvernement…

J. M. Coulet : Dès son accession sur le trône de Pierre, Jean-Paul II a fait de la défense des droits de l’homme le programme de son pontificat. Ce fut le thème de sa première encyclique, Redemptor Hominis. Il y a toutefois différentes manières de les faire respecter, de les promouvoir, de les sauvegarder.
Il existe une hiérarchie des droits. Si le pape entame son discours au corps diplomatique en rappelant le défi de la vie, c’est qu’il considère que dans de nombreuses sociétés celui-ci est bafoué, voire mis en danger, et son rôle de chef spirituel est de rappeler que la vie ne nous appartient pas, que nous ne pouvons pas en disposer selon notre bon plaisir. Naturellement il pense à l’avortement, à l’euthanasie, à la recherche scientifique… En bref, il tire la sonnette d’alarme.
Il le dit lui-même, venant d’un pays ou la liberté était limitée, il connaît le prix de celle-ci et il a pu se faire une idée précise de la valeur du respect des droits de l’homme. Pour lui, quand cette condition est remplie au sein d’un pays, l’on peut passer à un autre stade qui est celui de la recherche de la paix, au sens large de désarmement : quand les droits de l’homme sont respectés, il est plus facile d’obtenir la paix. La paix établie, toutes les conditions sont remplies pour travailler au développement, dont la priorité est d’enrayer la faim. Droits de l’homme, désarmement et développement, trois D qui animent la diplomatie pontificale sous Jean-Paul II.

DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, DR. JOAQUÍN NAVARRO-VALLS

A domande dei giornalisti sull’eventualità di un viaggio del Santo Padre in Polonia nel giugno prossimo, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Dr. Joaquín Navarro-Valls ha dichiarato quanto segue:
Per quest’anno non è previsto un viaggio del Santo Padre in Polonia, Paese nel quale nel 2005 si svolgeranno delle consultazioni elettorali.
Confermo comunque il viaggio del Santo Padre a Colonia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù.

[00054-01.01] [Testo originale: Italiano]

1.11.2005

Cuba : Jean-Paul II espère la fin de l’embargo et une liberté religieuse effective

CITE DU VATICAN, Mardi 11 janvier 2005 (ZENIT.org) – En recevant le nouvel ambassadeur de Cuba près le Saint-Siège, M. Raúl Roa Kourí, samedi 8 janvier, le pape Jean-Paul II a dit son espoir de voir la fin de l’embargo sur Cuba et que l’île jouisse d’une liberté religieuse effective.
A l’ambassadeur qui lui présentait ses lettres de créance, le pape disait son espérance que « dès que possible », puissent se créer les conditions de la fin de l’embargo contre Cuba et que l’Eglise, engagée dans la promotion concrète du bien commun puisse agir dans une situation « de liberté religieuse authentique ».
Des thèmes abordés à différentes occasions par Jean-Paul II et ses collaborateurs, en particulier lors de sa visite à Cuba en janvier 1998 : il avait souhaité que Cuba « s’ouvre au monde » et que le monde « s’ouvre à Cuba ».
Dans son discours, le pape a assuré de sa prière pour « la prospérité intégrale » de l’île, et pour la « santé » de son « leader », Fidel Castro.
« Le Saint-Siège, disait le pape en espagnol, espère vivement que l’on puisse surmonter au plus vite les obstacles qui empêchent la libre communication et le libre-échange entre Cuba et une partie de la communauté internationale, en assurant ainsi, grâce à un dialogue respectueux et ouvert à tous, les conditions nécessaires à un développement authentique ».
Le pape a par ailleurs reconnu les engagements pris et les progrès accomplis par la « chère » île de Cuba dans le domaine de la santé, de l’éducation, de la culture, dans ses différentes expressions. Ces conditions, disait-il, représentent « certains des piliers de l’édifice de la paix », ce qui ne signifie pas seulement « absence de guerre », mais surtout une « promotion humaine intégrale », et une croissance harmonieuse du corps et de l’esprit de « tous les membres de la société ».
Le pape a également salué l’esprit de solidarité des Cubains, et l’engagement de l’Eglise de cette Nation.
« Par sa présence évangélisatrice, et avec un esprit de service envers la population, l’Eglise de Cuba s’efforce, disait le pape, de développer son magistère social de la façon la plus concrète possible.
Le pape a souhaité que s’installe sur l’île un climat de liberté religieuse effective pour la promotion du bien commun et une collaboration authentique entre les Eglises sœurs.
Dans toute « société pluraliste », soulignait le pape, les orientations et les propositions de l’Eglise peuvent susciter des points de vue différents parmi ceux qui vivent leur foi et ceux qui ne la partagent pas. Mais, avertissait le pape, « les divergences ne doivent en aucune manière produire des conflits sociaux, mais plutôt favoriser une dialogue ample et constructif ».

En 1946, le Vatican a demandé de ne pas rendre à leurs familles les enfants juifs baptisés

LE MONDE | 10.01.05  •  MIS A JOUR LE 11.01.05 | 12h26
Un document retrouvé à Paris mettrait en cause le nonce Roncalli, futur Jean XXIII.

Un document, découvert au centre des archives de l'Eglise de France à Issy-les-Moulineaux, relance la polémique sur l'attitude du Vatican concernant les enfants juifs placés dans des établissements catholiques pendant la guerre et baptisés pour garantir leur protection. Ce document a été retrouvé par une historienne française, qui dégage toute responsabilité dans la publication de ce texte, le 28 décembre, par le Corriere della Sera et veut garder l'anonymat.
Il date du 23 octobre 1946 et porte l'en-tête de la nonciature apostolique à Paris, avec le numéro d'ordre 4 516, mais n'est pas signé. Il s'agit d'une note de quelques lignes, au ton administratif, qui se présente comme le "résumé d'une décision" attribuée à l'ex-Saint-Office et "approuvée par le Saint-Père", selon une formule usuelle qui ne garantit aucunement l'origine vaticane de cette instruction.
En 1946, le pape n'est autre que Pie XII et son nonce à Paris, depuis décembre 1944, Mgr Angelo Roncalli, créé cardinal en 1952 et élu pape, en 1958, sous le nom de Jean XXIII. Celui-ci sera l'initiateur du concile Vatican II (1962-1965), qui redéfinira les rapports de l'Eglise avec le judaïsme et les juifs.
A qui est adressée cette note d'octobre 1946 et que dit-elle ? Elle porte en tête la mention manuscrite : "Le 30/4/47 à S. Em. le Cal Gerlier", du nom de l'archevêque de Lyon de l'époque. Ainsi est-il légitime de penser qu'elle était destinée à un ou des évêques qui, après-guerre, s'interrogeaient sur la conduite à tenir vis-à-vis d'enfants juifs sauvés par des familles catholiques et baptisés.
Cette note en cinq points demande d'"éviter de répondre par écrit aux autorités juives" qui souhaitent récupérer ces enfants. Elle ajoute que "les enfants baptisés ne pourront pas être confiés à des institutions qui ne seraient pas à même d'assurer leur éducation chrétienne". Et que "si les parents les réclamaient, pour autant que les enfants n'aient pas reçu le baptême, ils pourront leur être rendus". Pas question, donc, de restituer à leurs familles des enfants juifs baptisés.
Un tel document soulève des questions troublantes. Alberto Melloni, historien de Bologne, responsable de sa publication dans le Corriere della Sera, assure qu'il s'agit bien d'une "instruction" du Saint-Office, transmise à la nonciature de Paris, mais que le nonce Roncalli ne l'a pas lui-même transmise aux évêques.
Quitte à ternir la réputation d'ami des juifs de Mgr Roncalli (qui, pendant la guerre, alors qu'il était nonce en Grèce et en Turquie, avait aidé au sauvetage de juifs), il est difficile de croire que le représentant du pape à Paris ait pu négliger une telle instruction de 1946. A la question de savoir si Mgr Roncalli a "omis" volontairement de la transmettre, l'historien français Etienne Fouilloux - qui vient de publier l'agenda des années françaises du nonce Roncalli (Anni di Franzia. Agenda del nunzio 1945-1948) - répond au Monde : "Je n'ai rien trouvé qui se rapporte à cet événement dans son agenda." La seule certitude, pour lui, est que ce document émane de la nonciature, probablement rédigé par un "bureaucrate" et transmis à l'épiscopat.
Mgr Roncalli était réputé pour ses bons contacts avec les juifs de France. Selon une lettre de deux dirigeants juifs, datée du 19 juillet 1946, il aurait donné l'autorisation au grand rabbin de Palestine, Isaac Herzog, en visite à Paris, de régler avec les établissements catholiques la question des enfants juifs. M. Fouilloux confirme cette rencontre d'avril 1946 avec le rabbin Herzog, qui sera suivie d'une autre, en 1949, avec Maurice Fisher, premier ambassadeur d'Israël à Paris. Mais l'"agenda" de Roncalli ne dit rien sur ce que fut l'attitude concrète du futur pape Jean XXIII.
Pour M. Fouilloux, même bien disposé vis-à-vis des juifs, "le nonce Roncalli n'a fait qu'appliquer strictement, conformément à sa charge, ce que le Vatican lui demandait". C'est lui qui, par exemple, a dû négocier avec le général de Gaulle la grâce d'évêques collaborateurs dont le nouveau gouvernement exigeait le renvoi. Autrement dit, ce document du 23 octobre 1946 n'ajoute rien de plus à ce qu'on savait de la doctrine de l'Eglise à l'époque : un enfant juif baptisé n'est plus juif, et l'Eglise a le devoir de l'élever chrétiennement.
En toile de fond de cette polémique, il faut rappeler le procès de béatification du pape Pie XII, contre lequel s'opposent la communauté juive et les courants catholiques progressistes. Après la publication dans le Corriere della Sera de cette note de 1946, Peter Gumpel, jésuite allemand, postulateur de la cause de Pie XII, a volé au secours de celui-ci. Le Saint-Office n'a fait que rappeler, dit-il, la doctrine qui prévalait alors : le baptême soumet à l'Eglise celui qui le reçoit et celle-ci est tenue de l'élever dans la foi catholique.

Henri Tincq
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Les douloureuses affaires Mortara et Finaly

En avril 1944, les époux Finaly confient leurs deux fils, Robert et Gérald, à une crèche de Grenoble dirigée par Antoinette Brun, catholique fervente, mais ils meurent en déportation. En 1945, une tante, Margaret Fischel-Finaly, réclame les enfants à Mlle Brun, qui refuse de les rendre et qui, en 1948, avoue les avoir fait baptiser. En 1952, une décision de justice ordonne leur restitution, mais les enfants ont fui en Espagne, cachés par des institutions catholiques. Il faudra une campagne d'opinion pour les faire rentrer. Depuis, les frères Finaly vivent en Israël. Un siècle plus tôt, en 1858, des gendarmes pontificaux de Bologne avaient kidnappé l'enfant Edgardo Levi-Mortara, qui, malade, avait été secrètement baptisé par une servante. Malgré des protestations officielles (Napoléon III, François-Joseph), Pie IX a toujours refusé de rendre le jeune homme, devenu prêtre et mort à Liège en 1940.

• ARTICLE PARU DANS L'EDITION DU 11.01.05

1.10.2005

UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE

Excellences,
Mesdames et Messieurs,

1. La joie empreinte de la douce émotion propre au temps où l’Église revit le mystère de la naissance de l’Emmanuel et le mystère de son humble famille de Nazareth donne aujourd’hui la tonalité de ma rencontre avec vous, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs et illustres membres du Corps diplomatique près le Saint-Siège, qui, dans cette rencontre, donnez, pour ainsi dire, une visibilité à la grande famille des Nations.
Notre rencontre empreinte de joie et attendue a été ouverte par les paroles aimables de vœux, d’estime et de partage de ma sollicitude universelle que vient de m’exprimer votre Doyen, Monsieur le Professeur Giovanni Galassi,Ambassadeur de Saint-Marin. Je lui en suis très reconnaissant et je forme en retour des souhaits de sérénité et de joie pour vous tous et pour vos chères familles, ainsi que des vœux de paix et de prospérité pour les pays que vous représentez.
Je salue notamment, en leur souhaitant une cordiale bienvenue et une bonne mission, les trente-sept ambassadeurs, accompagnés de leurs conjoints, qui, depuis le mois de janvier dernier, ont entamé leur mission près le Saint-Siège.
2. À dire vrai, ces sentiments de joie ont été ternis par la terrible catastrophe naturelle qui a frappé, le 26 décembre dernier, divers pays du sud-est asiatique, touchant aussi les côtes de l’Afrique orientale. Ce fléau a marqué très douloureusement la fin de l’année passée: une année marquée aussi par d’autres calamités naturelles, comme les cyclones qui ont dévasté l’Océan Indien et la mer des Antilles, comme les invasions de criquets qui ont ravagé de très vastes étendues de l’ouest de l’Afrique du Nord. D’autres tragédies ont encore endeuillé l’année 2004, comme les actes barbares de terrorisme qui ont ensanglanté l’Irak et d’autres États dans le monde, le tragique attentat de Madrid, le massacre terroriste de Beslan, les violences inhumaines infligées à la population du Darfour, les atrocitésperpétrées dans la région des Grands Lacs en Afrique.
Notre cœur en est troublé et angoissé, et nous ne réussirions pas à nous libérer des tristes doutes sur les destinées de l’homme si, de la crèche de Bethléem, ne nous parvenait pas un message de vie et de forte espérance, message à la fois humain et divin: dans le Christ, qui naît frère de tout homme et qui se place à nos côtés, c’est Dieu lui-même qui nous adresse l’invitation à ne jamais nous décourager, mais à vaincre les difficultés, aussi grandes soient-elles, en renforçant et en faisant prévaloir sur toute autre considération les liens communs d’humanité.
3. Et de fait, vous représentez ici, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, presque la totalité des peuples de la terre, ouvrant à notre regard d’un seul coup d’œil la grande scène de l’humanité, avec les graves problèmes qui l’agitent, mais aussi avec les espérances toujours vives qui l’animent. Par sa nature universelle, l’Église catholique prend toujours directement part, de manière active, aux grandes causes pour lesquelles l’homme d’aujourd’hui souffre et espère. Elle ne se sent étrangère à aucun peuple car, partout où se trouve un chrétien, un de ses membres, c’est tout le corps de l’Église qui s’en ressent. Bien plus, partout où il y a un homme, s’établit pour nous un lien de fraternité. Étant activement présent aux destinées de l’homme en tout lieu de la terre, le Saint-Siège sait aussi trouver en vous, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, des interlocuteurs hautement qualifiés, parce qu’ilest proprement de la mission des diplomates de franchir les frontières et de rassembler les peuples et ceux qui les gouvernent dans une volonté de concorde agissante, dans le strict respect des compétences réciproques, mais aussi dans la recherche d’un bien commun plus élevé.
4. Dans mon message de cette année à l’occasion de la Journée mondiale de la Paix, j’ai voulu proposer à l’attention des fidèles catholiques et de tous les hommes de bonne volonté l’invitation faite par l’Apôtre Paul: «Ne te laisse pas vaincre par le mal, mais sois vainqueur du mal par le bien»: vince in bono malum (Rm 12,21). À la base de cette invitation se trouve une vérité profonde: dans les domaines moral et social, le mal revêt le visage de l’égoïsme et de la haine, qui ont un caractère négatif; seul l’amour, qui possède la force positive du don généreux et désintéressé, jusqu’au sacrifice de soi, peut vaincre le mal. Cela s’exprime tout particulièrement dans le mystère de la naissance du Christ: pour sauver la créature humaine de l’égoïsme du péché et de la mort qui en est le fruit, Dieu lui-même, dans le Christ, plénitude de vie, entre avec amour dans l’histoire de l’homme et élève ce dernier à la dimension d’une vie plus grande.
Ce message – sois vainqueur du mal par le bien –, je voudrais maintenant vous l’adresser, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, et par votre intermédiaire aux peuples bien-aimés que vous représentez, ainsi qu’à vos Gouvernements: ce message est aussi pertinent en ce qui concerne les relations internationales, et il peut aider chacun à répondre aux grands défis de l’humanité d’aujourd’hui. Je voudrais ici en indiquer quelques-uns parmi les plus importants.
5. Le premier défi est le défi de la vie. La vie est le premier don que Dieu nous a fait et la première richesse dont l’homme peut jouir. L’Église annonce «l’Évangile de la Vie». L’État a pour tâche primordiale la protection et la promotion de la vie humaine.
Au cours de ces dernières années, le défi de la vie va en s’amplifiant et se fait de plus en plus crucial. Et il en est venu à se centrer particulièrement sur le commencement de la vie humaine, au moment où l’homme est le plus faible et où il doit être le mieux protégé. Des conceptions opposées s’affrontent sur les questions de l’avortement, de la procréation médicalement assistée, de l’utilisation des cellules souches embryonnaires humaines à des fins scientifiques, du clonage. Soutenue par la raison et par la science, la position de l’Église est claire: l’embryon humain est un sujet identique à l’enfant qui va naître et à celui qui est né, issus de cet embryon. C’est pourquoi rien de ce qui en viole l’intégrité et la dignité ne peut être admissible sur le plan éthique. De même, une recherche scientifique qui réduit l’embryon à un objet de laboratoire n’est pas digne de l’homme. Certes, la recherche scientifique dans le domaine génétique doit être encouragée et promue, mais, comme toute autre activité humaine, elle ne peut jamais se passer des impératifs moraux; elle peut d’ailleurs se poursuivre dans le domaine des cellules souches adultes, avec des perspectives prometteuses de succès.
Dans le même temps, le défi de la vie se manifeste dans ce qui est précisément le sanctuaire de la vie: la famille. Elle est aujourd’hui souvent menacée par des facteurs sociaux et culturels qui, en faisant pression sur elle, en rendent la stabilité difficile; mais, dans certains pays, la famille est aussi menacée par une législation qui porte atteinte – parfois même directement – à sa structure naturelle, qui est et qui ne peut être qu’une union entre un homme et une femme, fondée sur le mariage. La famille est la source féconde de la vie, le présupposé primordial et imprescriptible du bonheur individuel des époux, de la formation des enfants et du bien-être social, et même de la prospérité matérielle de la nation; on ne peut donc admettre que la famille soit menacée par des lois dictées par une vision de l’homme restrictive et contre nature. Puisse prévaloir une conception juste, haute et pure de l’amour humain, qui trouve dans la famille son expression vraiment fondamentale et exemplaire ! Vince in bono malum.
6. Le deuxième défi est celui du pain. Rendue merveilleusement féconde par son Créateur, la terre possède des ressources abondantes et variées pour nourrir tous ses habitants, présents et à venir. Malgré cela, les données qui sont publiées sur la faim dans le monde sont dramatiques: des centaines de millions d’êtres humains souffrent gravement de malnutrition, et, chaque année, des millions d’enfants meurent à cause de la faim ou de ses conséquences.
En réalité, l’alarme a été lancée depuis longtemps déjà, et les grandes organisations internationales se sont données des objectifs exigeants, au moins pour parer au plus urgent. Des propositions d’actions concrètes ont été élaborées, comme celles qui furent présentées, le 20 septembre 2004, à la réunion de New York sur la faim et la pauvreté, à laquelle j’ai tenu à être représenté par le Cardinal Angelo Sodano, Secrétaire d’État, pour donner un signe de la grande attention que l’Église porte à cette situation dramatique. De nombreuses organisations non gouvernementales se sont aussi engagées généreusement pour mettre en place des secours. Mais cela ne suffit pas. Pour répondre à cette nécessité dont l’ampleur et l’urgence ne font que croître, une forte mobilisation morale de l’opinion publique et plus encore des responsables politiques s’impose, surtout dans les pays qui ont atteint un niveau de vie satisfaisant et prospère.
Je voudrais sur ce point rappeler un grand principe de l’Enseignement social de l’Église, que j’ai à nouveau souligné dans le message pour la Journée mondiale de la Paix de cette année et qui est aussi développé dans le Compendium de la Doctrine sociale de l’Église: le principe de la destination universelle des biens de la terre. C’est un principe qui ne justifie assurément pas des formes collectivistes de politique économique, mais qui doit motiver un engagement radical pour la justice et un effort de solidarité plus attentif et plus déterminé. Tel est le bien qui pourra vaincre le mal de la faim et de la pauvreté injuste. Vince in bono malum.
7. Il y a aussi le défi de la paix. Bien suprême qui conditionne l’obtention de tant d’autres biens essentiels, la paix est le rêve de toutes les générations. Mais combien de guerres et de conflits armés y a-t-il encore, que ce soit entre États, entre ethnies, entre peuples et groupes vivant sur un même territoire national ! D’une extrémité du globe à l’autre, ils font d’innombrables victimes innocentes et ils sont source de tant d’autres maux ! Spontanément, notre pensée se tourne vers différents pays du Moyen-Orient, de l’Afrique, de l’Asie, de l’Amérique latine, dans lesquels le recours aux armes et à la violence cause non seulement des dégâts matériels incalculables, mais alimente la haine et accroît les causes de la discorde, rendant toujours plus difficiles la recherche et l’obtention de solutions capables de concilier les intérêts légitimes de toutes les parties concernées. À ces maux tragiques s’ajoute le phénomène cruel et inhumain du terrorisme, fléau qui a atteint une dimension planétaire inconnue des générations précédentes.
Contre de tels maux, comment relever le défi de la paix ? En tant que diplomates, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, vous êtes par profession – et certainement aussi par vocation personnelle – les hommes et les femmes de la paix. Vous savez de quels moyens dispose la société internationale pour garantir la paix ou pour la réinstaurer. Comme mes Prédécesseurs, je suis moi-même intervenu publiquement à de nombreuses reprises, en particulier par le Message annuel pour la Journée mondiale de la Paix, mais aussi par la diplomatie du Saint-Siège. Je continuerai à le faire, pour indiquer les chemins de la paix et pour inviter à les parcourir avec courage et patience: à la volonté de puissance on doit opposer la raison, à l’affrontement par la force la confrontation par le dialogue, aux armes pointées la main tendue: au mal le bien.
Nombreux sont les hommes qui agissent avec courage et persévérance en ce sens, et les signes encourageants ne manquent pas, démontrant comment peut être relevé le grand défi de la paix. Il en va ainsi en Afrique, où, malgré de graves rechutes dans des désaccords qui paraissaient résolus, s’accroît la volonté commune de travailler à trouver des solutions aux conflits et à les prévenir par une coopération plus intense entre les grandes organisations internationales et les instances continentales, comme l’Union africaine: évoquons par exemple, au mois de novembre dernier, la réunion du Conseil de sécurité des Nations unies à Nairobi, consacrée à l’urgence humanitaire au Darfour et à la situation en Somalie, ainsi que la Conférence internationale sur la région des Grands Lacs. Il en va ainsi au Moyen-Orient, dans cette terre si chère à ceux qui croient au Dieu d’Abraham et si sacrée pour eux, où la cruelle confrontation des armes paraît s’apaiser et où semble s’ouvrir une issue politique vers le dialogue et la négociation. Et comme modèle, certes privilégié, d’une paix possible, on peut mettre en avant l’Europe: des nations qui furent de farouches adversaires, s’opposant dans des guerres meurtrières, se retrouvent aujourd’hui réunies dans l’Union européenne, qui, au cours de l’année passée, s’est proposée de devenir ultérieurement plus forte avec le Traité constitutionnel de Rome, tandis qu’elle reste disposée à accueillir d’autres États, prêts à accepter les exigences que leur adhésion comporte.
Mais pour faire advenir une paix véritable et durable sur notre planète ensanglantée, une force de paix qui ne recule devant aucune difficulté est nécessaire. C’est une force que l’homme ne peut de lui-même ni obtenir ni conserver: c’est un don de Dieu. Le Christ est venu justement pour l’offrir à l’homme, comme les anges l’ont chanté à la crèche de Bethléem: «Paix aux hommes, que Dieu aime» (Lc 2,14). Dieu aime l’homme; il veut pour lui la paix. Nous sommes invités à en être des instruments actifs, en faisant vaincre le mal par le bien. Vince in bono malum.
8. Je voudrais encore faire allusion à un autre défi: le défi de la liberté. Vous savez, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, combien ce thème m’est cher, précisément en raison de l’histoire même du peuple dont je viens; mais il vous est aussi certainement cher, à vous qui êtes à juste titre, par votre service diplomatique, jalousement attachés à la liberté des peuples que vous représentez et attentifs à la défendre. Elle est cependant avant tout un droit de l’individu. Comme le dit fort justement la Déclaration universelle des Droits de l’Homme dans son article 1, «tous les êtres humains naissent libres et égaux en dignité et en droits». Et l’article 3 déclare: «Tout individu a droit à la vie, à la liberté et à la sûreté de sa personne». Certes, la liberté des États est aussi sacrée car ils doivent être libres, et c’est avant tout afin de pouvoir s’acquitter de manière appropriée de leur devoir primordial de protéger, outre la vie, la liberté de leurs citoyens, dans toutes ses justes manifestations.
La liberté est un grand bien, parce que, sans elle, l’homme ne peut se réaliser d’une manière qui réponde à sa nature. La liberté est lumière: elle permet de choisir de manière responsable ses objectifs et le chemin pour les atteindre. Au plus intime de la liberté humaine se trouve le droit à la liberté religieuse, parce qu’elle touche à la relation la plus essentielle de l’homme: la relation avec Dieu. La liberté religieuse est aussi expressément garantie dans la Déclaration déjà citée (cf. art. 18). Elle a aussi fait l’objet, comme vous le savez tous, d’une déclaration solennelle du Concile œcuménique Vatican II qui s’ouvre par ces mots significatifs: «Dignitatis humanæ».
La liberté de religion demeure dans de nombreux États un droit qui n’est pas suffisamment reconnu ou qui ne l’est pas de manière appropriée. Mais on ne peut pas supprimer l’aspiration à la liberté religieuse: elle se fera toujours vive et pressante, tant que l’homme vivra. C’est pour cela que je fais retentir aujourd’hui l’appel que l’Église a déjà maintes fois exprimé: «Il faut que partout sur terre la liberté religieuse soit garantie par une protection juridique efficace et que soient respectés le devoir et le droit suprêmes qu’ont les hommes de mener librement leur vie religieuse dans la société» (Déclaration sur la liberté religieuse Dignitatis humanæ, n. 15).
On ne doit pas craindre que la juste liberté religieuse limite les autres libertés ou nuise aux relations au sein de la société. Bien au contraire, grâce à la liberté religieuse, se développe et s’épanouit toute autre liberté: parce que la liberté est un bien indivisible, qui appartient en propre à la personne humaine et à sa dignité. On ne craindra pas non plus que la liberté religieuse, une fois reconnue à l’Église catholique, empiète sur le champ de la liberté politique et des compétences spécifiques de l’État: l’Église sait bien distinguer, comme il est de son devoir, ce qui est à César et ce qui est à Dieu (cf. Mt 22,21); elle coopère activement au bien commun de la société, parce qu’elle réprouve le mensonge et éduque à la vérité, condamne la haine et le mépris, et invite à la fraternité; elle promeut partout et toujours, comme cela est facile à reconnaître à partir de l’histoire, les œuvres de charité, les sciences et les arts. Elle demande seulement la liberté, pour pouvoir offrir un service efficace de collaboration avec toutes les instances publiques et privées qui sont préoccupées par le bien de l’homme. La vraie liberté est toujours pour vaincre le mal par le bien. Vince in bono malum.
9. En cette année qui vient de débuter, je suis sûr, Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs, que dans l’accomplissement de vos hautes fonctions vous continuerez à demeurer aux côtés du Saint-Siège dans son engagement quotidien en vue de répondre, selon ses responsabilités spécifiques, aux défis précédemment évoqués, qui touchent l’humanité tout entière. Jésus Christ, dont nous venons de célébrer la naissance il y a quelques jours, a été annoncé par le prophète comme «Admirabilis Consiliarius, Princeps Pacis, Merveilleux-Conseiller, Prince-de-la-Paix» (Is 9,5). Puissent la lumière de sa Parole, son esprit de justice et de fraternité, et le don si nécessaire et tant désiré de sa paix, qu’il offre à tous, resplendir dans la vie de chacun d’entre vous, de vos familles bien-aimées, de toutes les personnes qui vous sont chères, de vos nobles pays et de l’humanité tout entière.

[00037-03.01] [Texte original: Français]

1.09.2005

Somalie : « Une tragédie aggravée par le manque de l’Administration d’Etat »

CITE DU VATICAN, Dimanche 9 janvier 2005 (ZENIT.org) – Le raz-de-marée a été « une tragédie aggravée par le manque de l’Administration d’Etat » déclare à l’agence Fides Mgr Bertin, Administrateur Apostolique de Mogadiscio.
Des pays d’Afrique ont été touchés eux aussi par le raz-de-marée du 26 décembre. La situation la plus grave est celle de la Somalie où les dégâts les plus importants ont été enregistrés à Rafi Hafun, dans la région de Bari (connue aussi sous le nom de Migiurtina) dans le nord-est du pays. « Dans cette localité il y a au moins 150 morts et disparus » déclare à l’agence Fides Mgr Georges Bertin, évêque de Djibouti et Administrateur Apostolique de Mogadiscio. « Il s’agit d’une région isolée du reste du pays, où les principales activités économiques sont la pêche et l’exploitation des salines ».
« Etant donné la difficulté de communiquer avec la région, le bilan des victimes est toujours provisoire ». D’après des sources de la presse internationale, les plus grande partie des morts et des disparus sont des pêcheurs.
« Les autres régions de la Somalie touchées par le raz-de-marée sont Mogadiscio où l’on a signalé des dégâts dans le vieux port, mais il n’y aurait pas de victimes ; mais aussi dans la zone côtière méridionale où les vagues ont détruit des puits. Les dégâts subis par la Somalie sont inférieurs à ceux notés dans d’autres pays, comme les pays asiatiques. Dans l’estimation des conséquences du raz-de-marée, il faut toutefois tenir compte que la Somalie n’a pas d’administration d’Etat, et donc, que la machine des secours est pratiquement inexistante notamment dans les régions isolées comme Rafi Hafun ».
« Comme signe de solidarité concrète avec les populations somaliennes touchées par le raz-de-marée, le diocèse de Djibouti a organisé une collecte de fonds pour le 9 janvier. Nous avons débloqué en outre 3.000 dollars pour reconstruire des puits détruits dans le sud de la Somalie. Il ne faut pas non plus oublier les 10.000 dollars donnés par Cor Unum en faveur de la Somalie, conclut Mgr Bertin.
D’après le Bureau des Nations Unies pour la Coordination des Affaires Humanitaires, le raz-de-marée a endommagé ou détruit environ 18.000 maisons en Somalie, et 54.000 personnes ont été touchées directement par la destruction des habitations et des infrastructures économiques. En effet, des milliers de barques de pêche ont été détruites.
Dans le reste de l’Afrique, le raz-de-marée a fait 10 morts en Tanzanie, et un mort au Kenya.
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